L’analisi dei dati ha permesso di rilevare che su 16,1 milioni circa di pensionati nel 2022, il 52% sono di genere femminile; queste però hanno percepito solo il 44% dei redditi pensionistici, ovvero €141 miliardi, con un importo medio mensile pari a €1.416, del 36% inferiore rispetto a quello maschile.

Lo studio voluto dal Civ, il Comitato di indirizzo e vigilanza, è stato realizzato dalla Direzione centrale studi e ricerche dell’Istituto.

Dai dati della ricerca emerge che la parità di genere nel mercato del lavoro è ancora lontana nei giorni scorsi, il Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’Inps ha presentato un’interessante e articolata analisi della situazione di genere nel mercato del lavoro e nel sistema previdenziale.

L’occasione ha offerto la possibilità di indagare scrupolosamente sugli elementi che caratterizzano le differenze di genere sia nel settore privato non agricolo che nel settore pubblico, ma anche di ragionare sulle cause che le determinano e sulle necessarie soluzioni, di carattere politico e culturale da adottare per risolvere il problema nel nostro Paese.

Ancora una volta, il quadro rappresentato non è stato rassicurante e, sebbene si possa registrare qualche lieve segnale di miglioramento, la condizione della donna continua ad essere debole se paragonata alle vicende che interessano, invece, gli uomini, nel mercato del lavoro quando è in attività lavorativa, così come nel sistema pensionistico quando diventa una pensionata.

Le differenze tra donne e uomini sono evidenti nel settore privato, dove i livelli occupazionali, le retribuzioni, le occasioni di lavoro e le tipologie contrattuali sono fortemente caratterizzate da situazioni di svantaggio, ma le diseguaglianze non mancano neanche nel settore pubblico:

il tasso di occupazione femminile (15-64 anni), riferito al 2022, è stato pari a circa il 51,1%, mentre quello maschile ha superato il 69,2%;
le donne sono concentrate in alcuni comparti del settore dei servizi (sanità, istruzione, ristorazione), generalmente in imprese che pagano salari più bassi e offrono scarse possibilità di carriera, mentre sono poco presenti nel settore manifatturiero;
il contratto di lavoro part-time appare come una prerogativa delle donne, con un’incidenza che sfiora il 50% generalmente in tutti i settori produttivi;
le posizioni apicali sono scarsamente raggiunte dalle donne: tra i dirigenti nel settore privato, le donne coprono il 21% del totale, mentre gli uomini presidiano il 79%;
le retribuzioni annue percepite dalle donne sono in media di circa il 40% inferiori a quelle percepite dagli uomini nel settore privato e del 16% nel settore pubblico.

Il gender gap nell’andamento dell’età al pensionamento e dell’anzianità contributiva

In ambito pensionistico, l’analisi evidenzia un effetto trascinamento della forbice esistente tra uomini e donne nella vita attiva, confermando un significativo divario in termini di reddito. Sebbene, infatti, rappresentino la quota maggiore sul totale dei pensionati (8,3 milioni pari al 52% su un totale di 16 milioni di pensionati), le donne percepiscono solo il 44% dei redditi pensionistici (141 miliardi di euro contro i 180 miliardi degli uomini). Non solo, nel 2022, l’importo medio mensile dei redditi pensionistici percepiti dagli uomini era di € 1.932, mentre quello delle donne era inferiore del 36% essendo pari a € 1.415. Situazione confermata anche da una numerosità maggiore delle donne rispetto agli uomini nelle classi di reddito pensionistico più basso (fino a € 1500 mensili) e, al contrario, da una presenza massiccia degli uomini – 70% – nell’ultima classe di reddito oltre i 3.000 euro mensili.

La differenza nei redditi da pensione è strettamente collegata anche al tipo di prestazione percepita: molte pensioni anticipate per gli uomini con una notevole anzianità lavorativa e contributiva; poche, invece, per le donne che, in generale, sono titolari di pensioni di vecchiaia e/o di pensioni ai superstiti. Solo per queste ultime, l’importo percepito dalle donne è maggiore, in media, di quello degli uomini, per il fatto che, quando il dante causa è uomo, la pensione originaria su cui viene calcolata la reversibilità è mediamente superiore e l’ammontare ottenuto difficilmente è assoggettato a riduzioni consistenti tenuto conto dei redditi personali delle donne, di norma, abbastanza contenuti.

È evidente come l’andamento del divario reddituale sia una conseguenza diretta delle differenze nella durata e continuità della vita lavorativa, così come della retribuzione oraria e dei tempi di lavoro; circostanze aggravate anche dalle modalità di organizzazione della vita familiare che contribuiscono a creare ulteriore squilibrio tra uomini e donne.

Una parte rilevante dell’analisi condotta dall’Inps è dedicata, non a caso, anche all’utilizzo dei congedi parentali e del congedo di paternità: nel primo caso, le richieste sono a quasi totale appannaggio delle donne che coprono oltre l’80% del volume totale, soprattutto nei primi tre anni di vita del bambino; nel secondo, i dati mostrano un graduale aumento nel corso degli anni del numero dei padri che hanno aderito alla misura, passando dal 19% del 2013 al 64% del 2022. In entrambi i casi, è preponderante l’incidenza dei lavoratori a tempo pieno sul totale dei richiedenti, impiegati per lo più in grandi aziende.

La fotografia della situazione che ci restituiscono i dati analizzati dall’Inps conferma come i divari di genere permangano ancora oggi e costituiscano una vera e propria problematica da affrontare con urgenza. Come più volte precisato nella ricerca, anche se molti passi in avanti sono stati fatti, le ricadute del fenomeno sulle persone, sulle famiglie e sull’intera società sono rilevanti soprattutto se consideriamo le reali cause: una cultura patriarcale che ancora condiziona i rapporti familiari e sociali; un’organizzazione del lavoro regolata in base a criteri che rendono difficile la conciliazione dei tempi di vita e lavoro; una grave mancanza di servizi territoriali di sostegno alle famiglie, soprattutto di quelli per l’infanzia e per la non autosufficienza.

La presentazione dei risultati dell’indagine è stata, infine, molto importante per la partecipazione di tutti gli interlocutori cruciali per il ruolo svolto nella società, dai decisori politici alle parti sociali, i quali, unanimemente, hanno dichiarato un preciso impegno verso la piena affermazione della condizione lavorativa femminile soprattutto attraverso percorsi di potenziamento di misure e servizi a favore della famiglia, finalizzati a ridurre la discontinuità delle carriere, la povertà retributiva e il ricorso a rapporti di lavoro poco soddisfacenti sotto il profilo economico, ma anche della realizzazione professionale.

 

Fonte: pensionati.cisl.it