A cinque anni di distanza dalla sua prima uscita, è stato presentato Il Termometro della Salute. 2° Rapporto sul sistema sanitario italiano, a cura di Eurispes ed Enpam (Ente nazionale di previdenza e assistenza medici).
Questa edizione si è concentrata in particolare sull’impatto del Covid-19 nella percezione del Sistema Sanitario Nazionale e sulla sua programmazione nel dopo-Covid. Come sostenuto dal Presidente Eurispes Gian Maria Fara, “è ora possibile andare oltre le specifiche tematiche legate alla pandemia per affrontare la riforma del Servizio Sanitario Nazionale […] Se la Sanità pubblica ha svolto la sua decisiva e riconosciuta funzione […] sarebbe un grave errore non concentrare ora il massimo sforzo per rimettere, con la riforma, la Sanità definitivamente al centro delle politiche volte alla crescita del Paese”.

CRITICITÀ DEL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE
Il quadro che esce da questo rapporto è alquanto impietoso. Negli ultimi 15 anni abbiamo assistito al progressivo depotenziamento del nostro SSN, sottoposto a forti decurtazioni. Nel 2019 la quota del Pil riservata alla Sanità era scesa al 6,2%, alla quale i cittadini aggiungevano un 2,2% di spesa diretta, a fronte di una media europea rispettivamente del 6,4% e 2,2%, con Paesi ben oltre la media: Germania 9,9% e 1,7%, Francia 9,4% e 1,8%, Svezia 9,3% e 1,6%. 
Secondo i dati della Fondazione Gimbe, in un decennio sono stati sottratti oltre 37 miliardi di euro alla Sanità pubblica, di cui circa 25 miliardi nel periodo 2010-2015 e oltre 12 miliardi nel periodo 2015-2019. Questo trend negativo si è purtroppo confermato nell’ultima Legge di stabilità che riporta la quota del Pil riservata al SSN intorno al minimo storico del 6%.
Una criticità sottolineata dal rapporto è quella dell’invecchiamento del capitale umano che ha prodotto un alto numero di pensionamenti senza il necessario turn-over, aggravato ancora di più dal blocco delle assunzioni. Nei prossimi 10 anni si verificherà una grave carenza di personale sanitario.
Nel 2019 in Italia si avevano 4,05 medici ogni 1.000 abitanti; un dato di poco inferiore alla Spagna (4,4) e alla Germania (4,39), e superiore alla Francia (3,17). Per quanto riguarda gli infermieri, invece, siamo agli ultimi posti nella classifica dei Paesi Ocse con circa 6,16 infermieri ogni 1.000 abitanti e con 1,4 infermieri per ogni medico.
In più, i medici italiani sono “anziani”, solo l’8,8% della classe medica ha meno di 35 anni, una percentuale molto lontana da quella di Gran Bretagna, Olanda e Irlanda (30%), Germania, Spagna e Ungheria (20%) o Francia (15,7%). Il fenomeno ha delle ripercussioni gravi soprattutto per quanto riguarda i medici di medicina generale e il rischio concreto quando un medico va in pensione si traduce nell’impossibilità di erogare un servizio, dal momento che gli altri medici di famiglia hanno già il numero massimo di assistiti. I dati Agenas ci dicono che nel triennio 2019-2021 si sono “persi” in Italia 2.178 medici di medicina generale e 386 pediatri di libera scelta. Dal momento che ogni medico di base assiste una media di cittadini superiore ai 1.000 e che i medici più anziani spesso sfiorano il massimale di 1.500 assistiti, circa 3.000.000 di cittadini sono rimasti senza medico di base.
Dal 2022 al 2027 il SSN perderà 29.331 medici dipendenti, 11.865 medici di base e 21.050 infermieri. Si consideri, inoltre, che in molti casi si tratta di un lavoro usurante e non è da escludere che si producano molti prepensionamenti che aggreverebbero la perdita di quasi il 10% degli addetti.
Una parte del rapporto è dedicato alla spesa privata degli italiani in salute: ogni anno spendono “di tasca propria” per prestazioni e farmaci quasi 40 miliardi di euro. A ciò si aggiunge l’aumento della “mobilità sanitaria”, generato dalla necessità di rivolgersi a strutture pubbliche di altre Regioni per ottenere prestazioni non erogate nel territorio di residenza: nel 2018 ciò ha interessato quasi 1,5 milioni di cittadini. E la “mobilità sanitaria”, d’altronde, conferma la forte disparità regionale. Le Regioni con un saldo attivo sono Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana.  Ai due estremi, nel 2018 la Regione Lombardia ha riscontrato un saldo positivo di quasi 809 milioni di euro, mentre la Regione Calabria un deficit di quasi 320 milioni di euro. 
E non sono pochi gli italiani che hanno difficoltà a pagarsi le spese sanitarie. Le serie storiche delle indagini campionarie dell’Eurispes evidenziano che un quarto delle famiglie italiane denuncia difficoltà economiche relativamente alle prestazioni sanitarie. Nel 2022 questa difficoltà si registra soprattutto nelle regioni meridionali (28,5%) e nelle Isole (30,5%). I dati del 2023 confermano questo andamento e lo indicano in aumento.

COVID-19
Con specifico riferimento al Covid-19, il Rapporto dedica una parte al confronto tra Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, i cui sistemi sanitari sono da considerarsi tra i migliori in Italia e nell’UE. Il sistema sanitario lombardo ha affrontato la diffusione della malattia privilegiando il ricovero ospedaliero e meno un’assistenza territoriale domiciliare. Al contrario, Veneto ed Emilia Romagna hanno mantenuto stabile l’integrazione tra le tre tipologie di assistenza (Terapia Intensiva, Ricoveri Ordinari, Ricoveri Domiciliari), avendo una politica sanitaria meglio bilanciata. Questo differente orientamento è particolarmente evidente se si confronta il numero di casi trattato tramite percorsi di assistenza domiciliare: 3.500 casi in Veneto nel 2017 contro i 1.500 in Lombardia, numeri nettamente inferiori anche rispetto a Molise e Toscana, oltre all’Emilia Romagna.

MEDICINA TERRITORIALE
La lettura del rapporto non è confortante neanche riguardo al futuro del Dm 77, dal momento che Eurispes e Enpam sottolineano la difficoltà di concretizzazione della medicina territoriale così come contemplata dalla normativa. L’apertura in pochi anni di circa 1.350 Case della Comunità, infatti, comporta uno sforzo logistico enorme che difficilmente la maggior parte delle Sanità regionali sarà in grado di sopportare. Nel corso del 2022 si è assistito a molte “inaugurazioni” di Case della Comunità, ma in realtà si è trattato di strutture preesistenti quali poliambulatori o case della salute. Se il SSN non sarà messo in grado di programmare e poi assorbire le necessarie professionalità, le Case e gli Ospedali della Comunità rimarranno vuoti.
Anche dal punto di vista “culturale”, l’attenzione che il Dm 77 dedica alla telemedicina e alla ottimizzazione delle reti di comunicazione in àmbito sanitario si scontra con la realtà di molte Regioni per le quali il Fascicolo Sanitario Elettronico è ancora uno strumento sostanzialmente sconosciuto.
Un interessante capitolo curato dalla Guardia di Finanza e dall’Arma dei Carabinieri, infine, è dedicato al tema del contrasto agli illeciti in materia sanitaria.

 

Fonte: pensionati.cisl.it