Il progressivo innalzamento dell’età pensionabile ha un effetto collaterale poiché incide sui tassi di fecondità, contribuendo al calo delle nascite, soprattutto nei Paesi del sud dell’Europa con più lacune sul fronte delle politiche e dei servizi all’infanzia e dove una giovane coppia, per mettere su famiglia, fa grande affidamento sulla figura dei nonni.
È quanto emerge da un documento di Bankitalia, dove si sottolinea come le riforme previdenziali, varate negli ultimi decenni in Europa per contenere la spesa pubblica, possono avere un impatto anche sulla crescita demografica. Un fenomeno che riguarda quasi esclusivamente i Paesi dell’area Mediterranea, mentre è quasi nullo nell’Europa Continentale e nei Paesi del Nord, dove le politiche di welfare si dimostrano più efficaci e i servizi, come gli asili nido, sono più diffusi e meno gravosi per le tasche delle giovani coppie. La probabilità che gli individui adulti decidano di avere un figlio, aumenta in modo significativo subito dopo il pensionamento di uno dei loro genitori solo nei Paesi mediterranei, dove le politiche familiari sono meno favorevoli e i legami più forti, plausibilmente per la maggiore disponibilità di assistenza informale all’interno della famiglia.
La probabilità della nascita di un nipote, si spiega nello studio, statisticamente sale in maniera decisa dopo due anni dal pensionamento di almeno uno dei nonni. Specialmente se questi ultimi sono in salute e abitano nelle vicinanze. L’incidenza dell’età per la pensione sul tasso di natalità, invece, è quasi pari allo zero nei Paesi del Nord e del Centro dell’Europa. A fare la differenza, ancora una volta, sono in gran parte le politiche e i servizi per l’infanzia, oltre a ragioni di natura culturale. Dai dati aggiornati di Eurostat, la percentuale di bambini sotto i tre anni che frequentano un nido in Olanda è pari al 74,2%, in Danimarca al 69,1%, in Francia al 57,1%. L’Italia è al 33,4%, appena sopra la Grecia (32,3%). I numeri dell’ISTAT certificano come in Italia stenti a salire la spesa per gli asili, mentre continuano ad aumentare i costi e le difficoltà delle famiglie nel pagare le rette, specialmente in un periodo di alta inflazione come quello attuale. Sicuramente una delle maggiori sfide che l’Italia e i Paesi del Sud Europa devono affrontare è legato alla bassa natalità. Attualmente i tassi di fecondità sono al di sotto del livello di sostituzione di 2,1 figli per donna in età fertile. L’Italia e la Spagna sono bloccati ad un regime di fertilità minima, con meno di 1,3 figli per donna.
La bassa fertilità, insieme ai recenti aumenti dell’aspettativa di vita, risulta essere una delle principali cause dell’invecchiamento della popolazione. E costituisce, inoltre, una delle potenziali minacce alla sostenibilità del welfare state, almeno per come lo conosciamo oggi. Nel corso degli ultimi trent’anni molti Paesi europei hanno approvato delle riforme, che hanno aumentato l’età minima nella quale andare in pensione. Allungando l’età lavorativa, però, queste riforme hanno avuto un effetto negativo sull’intenzione di mettere al mondo dei figli da parte dei più giovani. In altre parole, i figli adulti attendono fino a quando i loro genitori vanno in pensione per avere un bambino.
A sua volta, questo rinvio delle nascite, influenza la fertilità completa, dato che, nonostante i recenti miglioramenti scientifici, la vita riproduttiva è ancora limitata da fattori biologici. Il documento redatto da Bankitalia, mette in evidenza che l’aiuto dei genitori risulta essere più importante nei Paesi dove le politiche di welfare pubblico sono meno generose e dove è più costoso mandare i figli all’asilo nido. L’aiuto della famiglia risulta essere più importante laddove i legami tra parenti sono più stretti, come avviene nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Non gioca, invece, un ruolo significativo nel resto dell’Europa.
L’aumento dell’età della pensione potrebbe avere conseguenze indesiderate sui tassi di fertilità nell’Europa meridionale, attraverso un effetto sui tempi della fecondità. A delineare quanto sia importante il ruolo dei nonni in pensione ci ha pensato direttamente l’ISTAT, mettendo in evidenza che nei rapporti tra i nonni ed i nipoti gioca un ruolo molto importante la sfera dell’accudimento. Partiamo dai numeri: almeno il 61,3% dei nonni ha un nipote non coabitante. Nella maggior parte dei casi sono proprio i nonni a prendersi cura dei bambini in questa fascia di età, che hanno ancora la necessità della cura di un adulto. La disponibilità dei nonni c’è sempre, con sistematicità, non solo nei momenti di emergenza. Un terzo dei nonni si prende cura dei nipoti, mentre i genitori sono al lavoro. Tre su dieci offrono il loro supporto per eventuali impegni occasionali dei figli. Nei momenti di emergenza si attiva almeno un quarto dei nonni.
Le nonne sono coinvolte in misura superiore rispetto ai nonni nelle varie occasioni di accudimento e, questo vale in generale, per i nonni più giovani (fino a 69 anni). A confermare le considerazioni del documento di Bankitalia è direttamente l’ISTAT, che sottolinea come la disponibilità dei nonni nel prendersi cura dei nipoti, dipende molto dal fatto che siano ancora occupati o meno. La quota di coloro che non se ne prende mai cura sale al 18 per cento tra chi lavora: questi nonni si prendono cura dei nipoti solo in casi eccezionali, il 15,4 per cento durante le vacanze e il 14,9 per cento quando i genitori vogliono uscire.
Questa indagine conferma almeno due punti cruciali di cui tenere conto, se si vogliono adottare politiche generazionali e demografiche davvero efficaci: da un lato, tempo, reddito e servizi, sono tutte variabili cruciali per aiutare i giovani nella difficile scelta di mettere al mondo un figlio, e questo esige un ripensamento radicale del nostro modello di welfare. Dall’altro, le relazioni intergenerazionali in famiglia si confermano un patrimonio di solidarietà dell’intero sistema di welfare, ma non possono essere date per scontate. E in questo patrimonio, la presenza degli anziani si caratterizza prima di tutto come una risorsa, e non come un “carico sociale” o un peso per il futuro del Paese. In tal modo, anche politiche di sostegno alla natalità devono e possono essere progettate ed intraprese non “contro” gli anziani, ma in alleanza, con una generazione di persone che non cessano di essere cittadini attivi, anche se in pensione.
Per ulteriori approfondimenti qui di seguito il documento di Bankitalia, presentato in inglese, con il titolo “Parental retirement and fertility decisions across family policy regimes” (Pensionamento dei genitori e scelte di fecondità nei diversi regimi di politiche familiari) e il report ISTAT.
Fonte: pensionati.cisl.it