A partire dagli ultimi mesi del 2022, quale effetto del conflitto russo-ucraino e del conseguente aumento dei prezzi delle materie prime, nel nostro Paese, così come a livello globale, si è registrato un rapido aumento del tasso di inflazione, paragonabile solo ai livelli inflazionistici della metà del 1980. Questa situazione ha avuto un forte impatto sulle famiglie, sempre più in difficoltà ad affrontare le spese della quotidianità. E le categorie maggiormente colpite, come sempre, sono quelle più fragili, tra tutti gli anziani, per molti dei quali la figura delle “badanti” è ormai essenziale e indispensabile.
BADANTI: I COSTI PER LE FAMIGLIE
Dal 1° gennaio 2023, con l’aggiornamento della variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo, le retribuzioni minime di un’assistente familiare sono aumentate del 9,2%, rispetto alle tariffe dell’anno precedente e le indennità di vitto e alloggio dell’11,5%. Tale incremento ha sensibilmente aumentato i costi per quelle famiglie che si avvalgono di personale assunto per lunghi orari di lavoro o a tempo pieno in convivenza.
Per avere un’idea più chiara ed immediata, riportiamo alcuni esempi elaborati da Assindatcolf (Associazione Nazionale dei Datori di Lavoro Domestico). Nel caso di un’assistente a persona non autosufficiente assunta per svolgere attività per 30 ore settimanali (non in regime di convivenza), si è passati da un costo totale mensile di 1.155,74 euro nel 2022 a 1.262,72 euro nel 2023, con un incremento di 106,90 euro mensili. Per una badante convivente a tempo pieno, il costo mensile da 1.322,79 euro nel 2022 è arrivato a 1.445,38 nel 2023, ossia 122,59 euro in più al mese.
A queste cifre va aggiunto l’incremento del 9,2% del fondo TFR e l’aumento dei contributi obbligatori previdenziali dell’8,1%. Nel caso dei rapporti di lavoro della durata superiore a 24 ore settimanali, si passa da 1,06 euro l’ora a 1,15 euro.
Trattandosi di badante con vitto e alloggio vanno, inoltre, considerati i costi per i pasti e quelli delle utenze domestiche (acqua, gas e luce) di una persona che trascorre molto tempo dentro casa. Mediamente, una badante convivente ha un costo non inferiore ai 1.250 euro circa al mese e che può tranquillamente sfiorare i 2.000 euro. Spese che rischiano di divenire insostenibili.
Si tratta di un vero e proprio allarme considerando il numero delle persone coinvolte. Su una popolazione totale di quasi 59 milioni, le persone over65 sono 14 milioni (Istat 2021), di queste 3.935.982 sono non autosufficienti (SDA Bocconi).
LAVORATORI DOMESTICI: IL FABBISOGNO IN ITALIA
Sul numero delle badanti, invece, ci sono dati discordanti per l’alto tasso di irregolarità diffuso nel settore. Nello studio del 2022 “Economia non osservata nei conti nazionali”, l’Istat stima intorno al 50% il tasso di irregolarità nel settore dei servizi alle persone degli ultimi 10 anni, con punte superiori al 52% tra il 2015 e il 2017.
Sulla base degli ultimi dati disponibili, elaborati dalla SDA Bocconi, le badanti sono circa 1,12 milioni, per il 91% donne e per il 70% straniere. Nel nostro Paese il numero di badanti supera quello del personale sanitario: 617.466 (Agenas 2020). Numero, d’altronde, destinato a crescere per un fattore puramente demografico, dal momento che nel 2042 si prevede che gli over65 saranno quasi 19.000.000, il 34% della popolazione e le fasce di età che cresceranno di più saranno quelle di 75-84 anni e di 85 anni e più.
Particolarmente interessanti sono i dati della ricerca pubblicata recentemente del Centro Studi e Ricerche Idos, su commissione di Assindatcolf e in collaborazione con il Censis, “Il fabbisogno aggiuntivo di manodopera straniera nel comparto domestico. Stima e prospettive”. Secondo le proiezioni contenute nello studio, nel triennio 2023-2025 il comparto del lavoro domestico in Italia avrà bisogno di una manodopera straniera aggiuntiva che oscilla tra i 74.000 e gli 89.000 lavoratori, ipotesi massima, che tiene conto anche della fuoriuscita dal mercato dei lavoratori domestici stranieri che nel frattempo raggiungeranno l’età pensionabile), per una media di 25/30.000 nuovi inserimenti annui. Di questi, i non comunitari sarebbero tra i 57.000 e 68.000, per una media annua di 19/23.000 nuovi inserimenti.
Numeri molto alti se pensiamo che l’ultimo decreto flussi approvato lo scorso 29 dicembre, ha stabilito per il 2023, quale quota di ingresso per i lavoratori stranieri, il numero di 82.705. A partire dal 2011, inoltre, i Governi non hanno mai più specificato quale dovesse essere la quota espressamente dedicata ai lavoratori domestici. In mancanza di una programmazione adeguata e regolare degli ingressi per lavoro, si ricorre sempre più spesso alla manodopera irregolare, impiegandola in nero e regolarizzandola se e quando è possibile. Con l’ultimo provvedimento di regolarizzazione (giugno-agosto 2020), le domande presentate per il lavoro domestico hanno avuto, infatti, una fortissima incidenza e hanno rappresentato circa l’85%.
COME INTERVENIRE
I dati riportati mettono in evidenza, sostiene Idos, la necessità di inserire un fattore fondamentale come l’invecchiamento della popolazione nel sistema di programmazione dei flussi migratori in ingresso nel nostro Paese. È una necessità che si impone anche per i cambiamenti dei modelli sociali. In Italia la rete di aiuti è tradizionalmente di tipo familiare e vede la donna quale principale prestatrice di attività di cura, ma i tassi di occupazione femminili, fortunatamente sempre più elevati, non garantiranno il perpetuarsi di questo modello.
Servono, quindi, aiuti concreti che rendano sostenibile la spesa e, allo stesso tempo, facciano emergere il lavoro irregolare. Servono incentivi all’assunzione e uno di questi deve essere aumentare l’aliquota della detrazione dall’Irpef delle spese per la badante, attualmente fissato solo al 19%. Nel Decreto lavoro approvato il 1° maggio è saltata la norma che prevedeva il raddoppio della deducibilità dei contributi per colf e badanti da 1.500 a 3.000 euro. Mancano le coperture e ancora una volta il passaggio dai proclami elettorali a politiche concrete è difficile se non impossibile.
È fondamentale promuovere interventi di sanità preventiva presso il domicilio delle persone anziane nell’ambito di efficaci e concrete politiche per l’invecchiamento attivo.
È urgente dare dignità al lavoro degli assistenti familiari e, in questa battaglia, il sindacato deve continuare ad essere in prima linea. Purtroppo, ancora oggi si tratta di una tipologia di lavoro disconosciuto sul piano economico, contrattuale e sociale, rispetto al lavoro “produttivo”, alla quale si aggiunge una vera e propria segregazione lavorativa che vede spesso gli immigrati relegati e bloccati nelle professioni più pesanti e a torto squalificate, lavori che ormai moltissimo italiani non vogliono più fare.
Gli assistenti familiari svolgono un lavoro usurante, fisicamente e psicologicamente, con un’alta percentuale di burnout e le retribuzioni non considerano anche queste componenti. In base al CCNL Domestico, un assistente familiare per persone autosufficienti, percepisce una paga oraria di 6,58 euro, mentre un assistente familiare per persone non autosufficienti con titolo professionale percepisce 9,36 euro.
Non è un mistero che Cgil, Cisl e Uil da sempre sono contrarie all’introduzione di un salario minimo per legge, per non depotenziare la contrattazione collettiva. Il salario minimo potrebbe, infatti, agire come un catalizzatore al ribasso, indebolendo invece di rafforzare il potere contrattuale dei sindacati, sia nella negoziazione dei salari che in quella di altri benefici integrativi.
Innanzitutto, a nostro parere, va combattuto il lavoro nero ancora molto diffuso nel nostro Paese in alcuni settori e nel “badantato”. Ma un altro problema è rappresentato dai cosiddetti “contratti pirata”, cioè quelli stipulati da associazioni sindacali di comodo (gialle) o comunque non rappresentative e che, ovviamente, sono molto più sfavorevoli per i lavoratori. Occorre anche ridurre e razionalizzare il numero dei contratti collettivi che devono essere siglati solamente dai sindacati veramente più rappresentativi (è necessario introdurre meccanismi affidabili e oggettivi di verifica della rappresentatività) ed estenderne la loro efficacia anche nelle piccole aziende di settore omogeneo di filiera con meno di 10 dipendenti.
Pertanto, non è necessario fissare per legge un salario minimo. Lo si può determinare in modo “complementare” dentro la negoziazione contrattuale. Si potrebbe così dar voce a lavoratori e istanze che oggi non hanno rappresentanza, senza depotenziare coscientemente il ruolo determinante dei sindacati confederali italiani, che in Italia rappresentano ancora una forza sociale di tutto rispetto nella difesa dei diritti dei lavoratori e pensionati.
I nuovi strumenti di tutela previsti dalla Legge 23 marzo 2023, n. 33 “Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone Anziane”, rappresentano sicuramente un punto di partenza importante. E in questa fase di preparazione dei decreti attuativi sarà, quindi, fondamentale il nostro impegno a rendere concrete misure fondamentali per dare dignità alle persone fragili, alle loro famiglie e al lavoro di cura di assistenti familiari e caregivers.
Fonte: pensionati.cisl.it