Dobbiamo essere capaci di unire e non dividere

“La legge dell’autonomia differenziata delle Regioni, che entrerà in vigore domani 13 luglio, è una legge che riforma il Titolo V della Costituzione messa in campo nel 2001 da un Governo di centrosinistra, a maggioranza, con la Cisl a suo tempo contraria. La legge Calderoli, così è chiamata, è stata quasi completamente riscritta nelle Commissioni parlamentari, e in 11 articoli definisce le procedure legislative e amministrative per l’applicazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione. In particolare, definisce le intese tra lo Stato e quelle Regioni che chiedono l’autonomia differenziata nelle 23 materie indicate nel provvedimento.

Nella legge è specificato che le richieste di autonomia devono partire su iniziativa delle stesse Regioni, sentiti gli enti locali. In particolare, l’iniziativa di ciascuna Regione può riguardare la richiesta di autonomia in una o più materie o ambiti di materie e le relative funzioni, e seguirà il negoziato tra il Governo e la Regione per la definizione di uno schema di intesa preliminare.

Le materie su cui si può chiedere l’autonomia differenziata sono 23. Nove sono le materie che possono essere trasferite alle Regioni senza bisogno di attendere la determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep): rapporti internazionali e con l’Unione europea; commercio con l’estero; professioni; protezione civile; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale; organizzazione della giustizia di pace, mentre per le altre quattordici materie occorrerà attendere la determinazione dei Lep concernenti i diritti civili e sociali, ivi compresi quelli relativi alle funzioni fondamentali degli enti locali, istruzione, tutela dell’ambiente, sicurezza del lavoro, ricerca scientifica e tecnologica, tutela della salute, alimentazione, ordinamento sportivo, governo del territorio, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, ordinamento della comunicazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, nonché valorizzazione dei beni culturali e ambientali.

Pertanto, la concessione di una o più “forme di autonomia” è subordinata alla determinazione dei Lep, cioè i criteri che determinano il livello di servizio minimo che deve essere garantito in modo uniforme sull’intero territorio nazionale. E per determinare i Lep, e quindi dei costi e dei fabbisogni standard, si partirà da una ricognizione della spesa storica dello Stato in ogni Regione nell’ultimo triennio. Inoltre, la legge stabilisce i principi per il trasferimento delle funzioni alle singole Regioni, precisando che sarà concesso solo successivamente alla determinazione dei Lep e nei limiti delle risorse rese disponibili in legge di bilancio. Dunque, senza Lep e il loro finanziamento, che dovrà essere esteso anche alle Regioni che non chiederanno l’autonomia differenziata, non ci sarà autonomia.

Il testo prevede anche una cabina di regia composta da tutti i ministri competenti, assistita da una segreteria tecnica, collocata presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio. Questa cabina di regia dovrà provvedere a una ricognizione del quadro normativo in relazione a ciascuna funzione amministrativa statale e delle regioni ordinarie e all’individuazione delle materie o ambiti di materie riferibili ai Lep sui diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale. Il Governo, entro 24 mesi dovrà varare uno o più decreti legislativi per determinare livelli e importi dei Lep. Una volta avviata la procedura, Stato e Regioni, avranno tempo 5 mesi per arrivare a un accordo, e le intese tra Stato e Regioni possono durare fino a 10 anni e poi essere rinnovate, oppure terminare prima, con un preavviso di almeno 12 mesi.

L’undicesimo articolo, inserito in commissione, oltre a estendere la legge anche alle Regioni a statuto speciale e le province autonome, reca la clausola di salvaguardia per l’esercizio del potere sostitutivo dello Stato. Il Governo può sostituirsi agli organi delle Regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni quando si riscontri che gli enti interessati si dimostrino inadempienti, rispetto a trattati internazionali, normativa comunitaria oppure vi sia pericolo grave per la sicurezza pubblica e occorra tutelare l’unità giuridica o quella economica. In particolare, si cita la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni sui diritti civili e sociali. Sulle materie concorrenti, inoltre, la legge attribuisce il potere di veto al presidente del Consiglio.

Non abbiamo nessun pregiudizio nei confronti dell’Autonomia differenziata ma serve una grande attenzione e consapevolezza della politica, delle Istituzioni, dei corpi intermedi, delle forze sociali, dell’opinione pubblica per evitare di costituzionalizzare eventuali profonde ingiustizie. Noi sindacato dei pensionati Cisl siamo impegnati a fare bene la nostra parte non in un’ottica di egoismi e prepotenze ma di ascolto, di confronto, di proposte e di “bene comune”. Siamo consapevoli che è un passaggio molto delicato, e siamo altrettanto consapevoli che può rappresentare un rischio ma anche un’opportunità. A nostro parere, vi sono materie che non si prestano a una regionalizzazione spinta al 100%. Pensiamo alle grandi reti di comunicazione, dell’energia, l’istruzione e la sanità. L’Italia è una sola, e non si possono avere 21 sistemi sanitari o scolastici regionali diversi!

E fino a quando non saranno individuate, deliberate e finanziate risorse adeguate a rimuovere gli squilibri territoriali di oggi – l’autonomia differenziata c’è già nel nostro Paese – sia per garantire la coesione sociale del Paese e sia per garantire i livelli essenziali di prestazioni Lep a tutti i cittadini l’autonomia differenziata – a “isorisorse e finanza invariata” – non si può e non si deve fare!

Quindi, è necessario abbassare i toni, smetterla con gli slogan. L’obiettivo comune deve essere un altro: il bene dei cittadini e la coesione sociale. E vogliamo citare i due settori che forse definiscono di più la qualità di una società civile in un Paese: istruzione e salute, e quindi occorre investire risorse sufficienti per costruire un sistema sanitario e un sistema formativo “di tutti e per tutti”. Il punto, oggi, non è di impedire a chi sta già facendo bene (o benino) di fare meglio nell’erogare servizi pubblici e favorire l’iniziativa privata, ma di non farlo a spese delle parti più deboli del Paese, deprimendole ulteriormente. Non si devono frenare o mortificare i forti, ma aiutare e rafforzare i deboli, facendo così più forte l’intera comunità nazionale. E il grido di allarme che viene dalle aree interne del Sud e del Nord, che i vescovi della Cei hanno saputo interpretare molto bene, non va ignorato ma va ascoltato e ben compreso.

Dobbiamo essere capaci di unire e non dividere, partendo dalla legalità, dalla sicurezza, e dalla presenza dello Stato perché è sempre da qui che parte la rinascita di un Paese intero, e abbiamo avuto modo di approfondire questo tema dell’autonomia differenziata con degli esperti anche nel nostro Consiglio Generale dello scorso maggio 2024.”

 

Fonte: pensionati.cisl.it