Il 7° rapporto GIMBE sul Sistema Sanitario Nazionale, recentemente pubblicato, fotografa la situazione del nostro Paese sulle condizioni della sanità pubblica.
Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), istituito nel 1978 con la legge 883 in attuazione dell’art. 32 della Costituzione e ispirato da princìpi di universalismo, uguaglianza ed equità, ha sempre rappresentato una risorsa preziosa per il nostro Paese in termini di tutela della salute dei cittadini, permettendo di garantire a tutti le cure e l’assistenza necessaria. Se nell’ultimo decennio, però, il tema della sostenibilità del SSN è rimasto confinato all’attenzione degli addetti ai lavori, oggi la tenuta del SSN purtroppo mostra enormi difficoltà.

CRITICITÀ DEL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE

Tante le criticità evidenziate nel rapporto:

il divario della spesa sanitaria pubblica pro capite di 889 euro rispetto alla media dei Paesi OCSE membri dell’Unione Europea, con un gap complessivo che sfiora i 52,4 miliardi di euro;
la crisi motivazionale del personale che abbandona il SSN;
il boom della spesa a carico delle famiglie (+10,3%);
quasi 4,5 milioni di persone che nel 2023 hanno rinunciato alle cure, di cui 2,5 milioni per motivi economici;
le diseguaglianze regionali e territoriali;
la migrazione sanitaria e i disagi quotidiani sui tempi di attesa e sui pronto soccorso affollati.

Tutti elementi che dimostrano che la tenuta del SSN è a rischio e che si sta lentamente sgretolando il diritto costituzionale alla tutela della salute, in particolare per le fasce socio-economiche più deboli, gli anziani e i fragili, chi vive nel Mezzogiorno e nelle aree interne e disagiate.


IL FINANZIAMENTO PUBBLICO

Secondo quanto emerge dal rapporto, il Fabbisogno Sanitario Nazionale (FSN) dal 2010 al 2024 è aumentato complessivamente di 28,4 miliardi di euro, con una media 2 miliardi di euro all’anno, ma con trend molti diversi tra il periodo pre-pandemico (2010-2019), gli anni della pandemia (2020-2022) e il periodo post-pandemico (2023-2024).
Tra il 2010 e il 2019, durante la stagione dei tagli, alla sanità pubblica sono stati sottratti oltre 37 miliardi di euro, con un aumento complessivo del FSN di soli 8,2 miliardi di euro in 10 anni, pari ad una crescita media dello 0,9% annuo, un tasso inferiore a quello dell’inflazione media annua (1,15%).
Negli anni della pandemia (2020-2022) il FSN è cresciuto complessivamente di 11,6 miliardi di euro, con una media del 3,4% annuo, segnando formalmente la fine dei tagli. Tuttavia, questo rilancio del finanziamento pubblico è stato assorbito dai costi della pandemia, senza consentire un rafforzamento strutturale del SSN e senza riuscire a mantenere in ordine i bilanci delle Regioni.
Nel periodo post-pandemico la Legge di Bilancio 2023 ha previsto un incremento del FSN di 2 miliardi e 150 milioni di euro nel 2023 (di cui 1 miliardo e 400 milioni di euro destinati alla copertura dei maggiori costi energetici), 2,3 miliardi di euro nel 2024 e 2,6 miliardi di euro nel 2025.

La Legge di Bilancio 2024 ha incrementato il FSN di 3 miliardi di euro per il 2024 (di cui 2.431 milioni di euro destinati ai rinnovi contrattuali del personale), di 4 miliardi di euro per il 2025 e di 4,2 miliardi di euro per il 2026. Di conseguenza, il FSN è stato fissato a:

134 miliardi di euro per il 2024;
135,4 miliardi di euro per il 2025;
135,6 miliardi di euro per il 2026.

Le previsioni per il prossimo futuro non lasciano intravedere alcun rilancio del finanziamento pubblico per la sanità: secondo il Piano Strutturale di Bilancio di medio termine (2025-2029), approvato il 27 settembre 2024, peggiora il quadro tendenziale della spesa sanitaria rispetto al DEF 2024. Il rapporto spesa sanitaria/PIL scende, passando dal 6,3% del biennio 2024-2025 al 6,2% nel periodo 2026-2027.


LA SPESA SANITARIA: CRESCE IL PESO SULLE FAMIGLIE

Rispetto al 2022, nel 2023 i dati ISTAT documentano che l’aumento della spesa sanitaria totale (+ 4.286 milioni di euro) è stato sostenuto esclusivamente dalle famiglie come spesa diretta (+ 3.806 milioni di euro) o tramite fondi sanitari e assicurazioni (+ 553 milioni di euro), vista la sostanziale stabilità della spesa pubblica (- 73 milioni di euro). Cresce così il peso sulle famiglie che devono pagare di tasca propria le spese per molte prestazioni sanitarie.

La spesa out-of-pocket – ovvero quella pagata direttamente dai cittadini – per il 2023, secondo ISTAT-SHA, ammontava a 40.641 milioni di euro. Inoltre, mentre nel periodo 2021-2022 ha registrato un incremento medio annuo dell’1,6% (+ 5.326 euro in 10 anni), nel 2023 si è impennata aumentando del 10,3% (+ 3.806 milioni di euro) in un solo anno. Una cifra enorme che spesso porta le persone a limitare le spese per la salute rinunciando alle cure. Infatti, secondo l’ISTAT nel 2023 4,48 milioni di persone hanno rinunciato a visite specialistiche o esami diagnostici pur avendone bisogno, per uno o più motivi: lunghi tempi di attesa, difficoltà di accesso (struttura lontana, mancanza di trasporti, orari scomodi), problemi economici (impossibilità di pagare, costo eccessivo). E per motivi economici nel 2023 hanno rinunciato alle cure quasi 2,5 milioni di persone (4,2% della popolazione), quasi 600.000 in più dell’anno precedente.
È importante considerare che la povertà ha un notevole impatto sulla salute proprio perché contribuisce alla rinuncia alle cure, al peggioramento della salute e alla riduzione dell’aspettativa di vita delle persone più povere del Paese. Secondo i dati ISTAT l’incidenza della povertà assoluta tra il 2021 e il 2022 è salita dal 7,7% all’8,3%, coinvolgendo quasi 2,1 milioni di famiglie: le stime preliminari ISTAT per il 2023 indicano un incremento all’8,5%. Il legame tra povertà e salute è evidenziato dalle notevoli differenze di aspettativa di vita nelle diverse Regioni italiane. A fronte di un’età media di 83,1 anni a livello nazionale, si registrano, infatti, notevoli differenze regionali: dagli 84,6 anni della Provincia autonoma di Trento agli 81,4 anni della Campania, con una differenza di ben 3,2 anni. In tutte le 8 Regioni del Mezzogiorno l’aspettativa di vita è inferiore alla media nazionale, un segnale indiretto sia delle criticità dei servizi sanitari regionali, sia dell’incidenza della povertà assoluta.
Questo fenomeno sarà reso ancora più evidente dalla diminuzione della spesa sanitaria per la prevenzione. Secondo quanto emerge dal rapporto, infatti, rispetto al 2022, nel 2023 la spesa per i “Servizi per la prevenzione delle malattie” si riduce di ben 1.933 milioni di euro (-18,6%).


IL CONFRONTO INTERNAZIONALE

Per quanto riguarda il confronto con gli altri Paesi, nel 2023 la spesa sanitaria pubblica in Italia si attesta al 6,2% del PIL, un valore nettamente inferiore sia alla media OCSE del 6,9% sia alla media dell’Unione Europea del 6,8%. Anche la spesa sanitaria pubblica pro-capite, pari a 3.574 dollari, rimane ben al di sotto sia della media OCSE (4.174 dollari), sia soprattutto della media dei Paesi dell’UE (4.199 dollari). Il gap con la media dei Paesi Europei dell’area OCSE si è ampliato progressivamente dal 2010, sino a raggiungere nel 2023 995 dollari pro-capite che, parametrato alla popolazione residente al 1° gennaio 2024, corrisponde ad un gap complessivo di 58,7 miliardi di dollari, pari a 52,4 miliardi di euro.
Il personale sanitario
L’Italia dispone complessivamente di 4,2 medici ogni 1.000 abitanti, un dato superiore alla media OCSE (3,7), ma sta sperimentando il progressivo abbandono del SSN e carenze selettive: oltre ai medici di famiglia, alcune specialità mediche fondamentali non sono più attrattive per i giovani medici, che disertano le specializzazioni in medicina d’emergenza-urgenza, medicina nucleare, medicina e cure palliative, patologia clinica e biochimica clinica, microbiologia, e radioterapia. Ma la vera crisi riguarda il personale infermieristico: con 6,5 infermieri ogni 1.000 abitanti, l’Italia è ben al di sotto della media OCSE (9,8), collocandosi tra i Paesi europei con il più basso rapporto infermieri/medici (1,5 a fronte di una media europea di 2,4). Inoltre, nel 2022 i laureati in Scienze Infermieristiche sono stati appena 16,4 per 100.000 abitanti, rispetto ad una media OCSE di 44,9, lasciando l’Italia in coda alla classifica prima solo del Lussemburgo e della Colombia. Per l’Anno Accademico 2024-2025 sono state presentate 21.250 domande per il Corso di Laurea in Scienze Infermieristiche a fronte di 20.435 posti, un dato che dimostra la mancata attrattività di questa professione.


LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA E DIVARIO NORD-SUD
Rispetto ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) – le prestazioni e i servizi che il SSN è tenuto a fornire a tutti i cittadini gratuitamente o dietro il pagamento di un ticket – nel 2022 solo 13 Regioni rispettano gli standard essenziali di cura, con un ulteriore aumento del divario Nord-Sud: Puglia e Basilicata sono le uniche Regioni promosse al Sud, ma comunque in posizioni di coda.
La conseguenza diretta di queste disparità territoriali è la mobilità sanitaria che evidenzia la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord, con i residenti delle Regioni del Centro-Sud spesso costretti a spostarsi in cerca di cure migliori. L’aumento della migrazione sanitaria ha effetti economici importanti non solo sulle famiglie, ma anche sui bilanci delle Regioni del Mezzogiorno, che risultano ulteriormente impoverite. In particolare, secondo i dati forniti nel Rapporto, nel decennio 2012-2021 le Regioni del Mezzogiorno hanno accumulato un saldo negativo pari a 10,96 miliardi di euro.


STATO DI AVANZAMENTO DEL PNRR

Il rapporto analizza, infine, lo stato di avanzamento delle opere legate al PNRR. Al 30 giugno 2024 sono stati raggiunti i target europei che condizionano il pagamento delle rate all’Italia. I risultati preliminari del 4° Monitoraggio Agenas sul DM 77/2022 documentano che, al 30 giugno 2024 sono stati dichiarati attivi dalle Regioni:

il 19% delle Case di Comunità (268 su 1.421);
il 59% delle Centrali Operative Territoriali (362 su 611);
il 13% degli Ospedali di Comunità (56 su 429).

I ritardi sono stati particolarmente marcati nel Mezzogiorno. Il target intermedio sulla percentuale di over 65 in assistenza domiciliare è stato raggiunto a livello nazionale e in tutte le Regioni tranne che in tre Regioni del Sud. Infine, al 31 luglio 2024 sono stati realizzati il 52% dei posti letto di terapia intensiva e il 50% di quelli di terapia sub-intensiva, anche in questo caso con nette differenze regionali.

CONCLUSIONI

In conclusione, il 7° rapporto della Fondazione GIMBE descrive un Sistema Sanitario Nazionale in affanno caratterizzato da una carenza di risorse non solo economiche ma anche legate alle difficoltà crescenti del personale sanitario. Un quadro che rischia di compromettere il diritto costituzionale alla tutela della salute, soprattutto per le fasce più deboli della popolazione. È necessario allora un cambio di rotta, un nuovo approccio che permetta di considerare la sanità non come un costo da tagliare ma come una priorità su cui investire per tutelare la salute delle persone e favorire la crescita economica del Paese.

 

Fonte: pensionati.cisl.it