Nel 2022 i pensionati in Italia erano 16,1 milioni, di cui 7,8 milioni uomini e 8,3 milioni donne
Lo scorso 13 settembre è stato presentato il XXII Rapporto Annuale INPS. Il documento, che prende in esame lo stato di salute del sistema del welfare nel 2022, conferma il sostanziale superamento della situazione della crisi pandemica che, nel corso degli anni precedenti, ha inciso profondamente sul tessuto economico e sociale del nostro Paese e, di conseguenza, sulla vita dell’Istituto.
Il XXII Rapporto Annuale dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, relativo all’anno 2022, è organizzato in 5 capitoli.
In particolare nel secondo capitolo si fornisce un’analisi approfondita delle dinamiche e delle peculiarità che contraddistinguono il sistema pensionistico italiano attraverso un’analisi dell’evoluzione delle pensioni e dei pensionati italiani, nonché delle scelte che i pensionati compiono lungo il loro percorso previdenziale.
La resilienza dell’economia nazionale ha garantito l’uscita dalla crisi e favorito una ripresa economica più ampia rispetto ad altri Stati dell’area euro. Questa tendenza positiva si è manifestata, in modo tangibile, con un incremento del 3,7% del Pil italiano che si è tradotto in un significativo miglioramento del mercato del lavoro, sia in termini di qualità che di quantità.
DATI SU PENSIONI: IL SECONDO CAPITOLO
Il 96% dei pensionati percepisce una pensione Inps con un reddito lordo mensile medio pari a 1.687 euro; quello degli uomini è pari a 1.969 euro, risultando il 38% più alto di quello delle donne.
- al 31 dicembre 2022 i pensionati sono 16,1 milioni, di cui 7,8 milioni di maschi e 8,3 milioni di femmine (52%);
- l’importo lordo della spesa pensionistica è di 322 miliardi di euro;
- sebbene rappresentino la quota maggioritaria sul totale dei pensionati (il 52%), le femmine percepiscono il 44% dei redditi pensionistici, ovvero 141 miliardi di euro contro i 180 miliardi dei maschi;
- l’importo medio mensile dei redditi percepiti dagli uomini è superiore a quello delle donne del 36%;
- il 96% circa dei pensionati italiani percepisce almeno una prestazione dall’INPS e ha un reddito lordo mensile medio di circa 687 euro. Il restante 4% non beneficia di nessuna prestazione da parte dell’INPS, ma percepisce rendite INAIL o pensioni di guerra o ancora pensioni da Casse professionali, Fondi pensione e Enti minori.
Con riferimento alla distribuzione delle prestazioni erogate dall’INPS per categoria di pensione:
- i trattamenti previdenziali, ovvero le pensioni di anzianità/anticipate, vecchiaia, invalidità e superstite, assorbono il 92% della spesa. La voce che incide di più sulla spesa sono le pensioni di anzianità/anticipate con il 56% del totale, seguite dalle
- 18% e dalle pensioni ai superstiti che assorbono oltre il 13%;
- i trattamenti assistenziali, ossia le prestazioni agli invalidi civili e le pensioni e gli assegni sociali, assorbono il restante 8%. Le prestazioni agli invalidi civili rappresentano il 6% del totale; le pensioni di invalidità e le pensioni e assegni sociali che rappresentano rispettivamente il 4% e il 2%.
Con riferimento agli importi medi, le pensioni anticipate/anzianità sono quelle più elevate, con un importo medio di 1.915 euro mensili, a fronte di pensioni di vecchiaia di 889 euro mensili, di invalidità di 1.018 euro mensili e al superstite di 747 euro mensili. Le prestazioni assistenziali si attestano intorno ai 460 euro mensili.
Nel 2022, le prestazioni di tipo previdenziale erogate dall’INPS sono state per il 48% a carico del Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti, con un importo lordo medio mensile di circa 1.238 euro; il 30% a carico della Gestione Lavoratori Autonomi e Parasubordinati (importo medio di 826 euro) e il 19% a carico della Gestione Lavoratori Pubblici (importo medio di 2.019 euro).
Le prestazioni liquidate dall’INPS, ossia il flusso delle nuove prestazioni pensionistiche erogate nell’anno, sono circa 1,5 milioni, di cui il 58,3% prestazioni previdenziali e il 41,7%. Le prestazioni assistenziali crescono per il secondo anno consecutivo (+8,1%), dopo la flessione registrata nel 2020 dovuta alla pandemia e al blocco delle visite mediche per le invalidità civili che rimangono la categoria prevalente.
Contestualmente, le prestazioni previdenziali diminuiscono del 3% per effetto della riduzione delle pensioni anticipate (-8,9%; in parte legato alla conclusione di Quota 100 al 31 dicembre 2021 e all’introduzione di Quota 102 che ha interessato un numero di pensionati limitato) e delle pensioni al superstite non del tutto compensate dall’aumento dei trattamenti di vecchiaia.
Sul fronte del persistente divario di genere nelle prestazioni pensionistiche, le donne risultano essere le maggiori percettrici della pensione di vecchiaia (62%), delle prestazioni ai superstiti (87%), e delle pensioni e assegni sociali (63%), mentre gli uomini risultano in numero maggiore nella categoria delle pensioni anticipate (67%).
DIFFERENZA DI REDDITO DA PENSIONE: IL GAP DI GENERE
La differenza in reddito da pensione tra uomini e donne deriva per la maggior parte dal minor numero di anni di contribuzione di queste ultime: infatti, l’uscita dal mercato del lavoro delle donne avviene prevalentemente con la pensione di vecchiaia, mentre quella degli uomini con la pensione anticipata che, storicamente, registra un importo medio superiore, che nel 2022 è risultato pari a 2.043 euro per gli uomini a fronte dei 1.660 euro delle donne, mentre quella di vecchiaia è stata pari rispettivamente a 1.112 euro e 752 euro.
Inoltre, il capitolo approfondisce il tema della frammentazione contributiva. Istituti come le pensioni supplementari, la ricongiunzione, la totalizzazione, il cumulo, rispondono all’esigenza di lavoratrici e lavoratori che durante la loro vita lavorativa hanno versato in casse previdenziali diverse. Dai dati forniti da INPS, nel 2022, il 18% dei pensionati di vecchiaia e anzianità percepiva trattamenti che risultavano da contribuzione a fondi diversi.
FLESSIBILITA’ IN USCITA
Il Rapporto passa in rassegna le varie forme di flessibilità in uscita, in quest’ottica si collocano gli interventi “sperimentali” di Quota 100 che tra il 2019 e il 2022, ha consentito l’uscita anticipata di oltre 430.000 lavoratori con 62 anni di età e 38 anni di contributi, seguito da Quota 102 di cui nel 2022 hanno beneficiato quasi 5.700 lavoratori e dalla recente Quota 103. Questi istituti consentono un’uscita anticipata al di fuori dei principi generali in termini di anzianità contributiva e anagrafica e sebbene l’importo della pensione sia correlato negativamente all’aspettativa di vita al pensionamento.
Per quanto concerne l’istituto di Opzione Donna, introdotta dalla L. 243/2004, prevedeva, fino al 31 dicembre 2015, la possibilità per le lavoratrici con 35 anni di contributi e un’età di 57 anni, se dipendenti, o di 58, se autonome, di accedere anticipatamente al trattamento pensionistico. L’opzione è stata poi prorogata lasciando invariato il requisito contributivo, ma innalzando di un anno quello anagrafico.
Successivamente, la Legge di Bilancio 2023, “il regime sperimentale donna”, è stata ulteriormente prorogata, ma introducendo requisiti di accesso più stringenti, aumentando il requisito anagrafico a 60 anni, il quale può scendere a 59/58 anni se la potenziale percettrice abbia uno o due figli.
Al 1° gennaio 2023, le donne andate in pensione con l’Opzione donna erano 174.535, il 57,9% delle quali erogate a lavoratrici dipendenti. I pensionamenti con Opzione donna costituiscono il 16,3% del complesso delle pensioni anticipate liquidate a donne dal 2010. L’assegno medio risulta essere inferiore del 39,8% rispetto alla media delle anticipate (1.171,19 euro contro 1.946,92 euro).
Per effetto del passaggio al sistema di calcolo interamente contributivo, all’assegno pensionistico subisce una forte decurtazione, che può risultare variabile in base all’età e caratteristiche di carriera della lavoratrice.
Nel periodo 2013-2022, la perdita economica media è pari al 14,2% della pensione che sarebbe stata percepita se alla pensionata fosse stato applicato il regime misto o retributivo.
E L’EUROPA COME STA?
Sul tema pensioni tuttavia, incidono sia eventi straordinari di recente affermazione (elevata inflazione, con conseguente spesa per le indicizzazioni dei trattamenti) sia dinamiche strutturali già da tempo in essere, legate in particolar modo alla denatalità, all’aumento dell’aspettativa di vita e all’invecchiamento della popolazione.
A questo proposito, e fermo restando che tali dinamiche riguardano in genere tutti i paesi occidentali, il Rapporto INPS fornisce un interessante quadro comparato con Germania, Francia e Spagna, anche con riferimento alla attività lavorativa autonoma.
In effetti, nonostante le differenze tra i sistemi pensionistici, tutti i paesi europei stanno incontrando crescenti difficoltà a fornire prestazioni adeguate a fronte di finanziamenti non sempre adeguati.
In generale, come in Italia, nei paesi europei le principali fonti di finanziamento dei trattamenti pensionistici sono i contributi previdenziali e i trasferimenti dello Stato. I contributi sociali sono versati dai datori di lavoro e/o dai dipendenti, mentre i finanziamenti statali provengono prevalentemente dalle entrate fiscali. Fonti minori di finanziamento sono i trasferimenti da altri schemi e i rendimenti su investimenti finanziari.
Fonte: pensionati.cisl.it