È stato recentemente pubblicato da Euro Health Net un policy brief dal titolo “Psychosocial risks & older workers’ health – Strategies for a healthier workplace” (I rischi psicosociali e la salute dei lavoratori più anziani – Strategie per ambienti di lavoro più sani) che affronta un tema sempre più rilevante ma che finora, come tanti altri relativi alla popolazione più anziana, è stato trascurato e poco approfondito.

In generale, i rischi psico-sociali (PSRs-psychosocial risks) emergono in contesti di cattiva organizzazione o gestione del lavoro e delle risorse del lavoratore – ma anche quando gli ambienti di lavoro sono impoveriti da una bassa qualità delle relazioni – e possono comportare serie compromissioni per il benessere del lavoratore.

Diversi studi cui fa riferimento il documento hanno dimostrato che – rispetto ai lavoratori di altre fasce di età – i lavoratori più anziani (dai 55 anni in su) rappresentano una categoria per certi versi più vulnerabile in questo senso e spesso soggetta ad un intreccio più complesso di rischi psico-sociali.
I lavoratori più anziani, sempre secondo il documento, tendono a subire maggiormente e a gestire con più difficoltà le dinamiche derivanti da un mondo del lavoro in costante cambiamento e, per molteplici ragioni, a trovarsi in condizioni di sovraccarico di stress e con minori prospettive di adattamento. 
È il caso per esempio del problema delle competenze che (non solo per i lavoratori più anziani) se non costantemente aggiornate, possono risultare obsolete; ma è anche il caso di maggiori preoccupazioni che possono derivare dalla necessità di dover cambiare più frequentemente lavoro e da ansie legate allo sviluppo della loro carriera lavorativa, dovute molto spesso al fatto che essi vengono esclusi dalle opportunità di formazione e da quelle di avanzamenti di carriera.
In ambiente lavorativo, se le risorse del lavoratore più anziano e gli aspetti relazionali sono mal gestiti o poco valorizzati, si possono generare situazioni di forte disagio, non di rado esasperate dalla presenza di discriminazioni e ageismo.
La pandemia ha aggravato questo scenario, aggiunge il documento, con esiti disastrosi per la salute psicofisica dei lavoratori più anziani, che, durante l’emergenza sanitaria, insieme alla fascia dei lavoratori più giovani (18-24 anni), hanno più frequentemente dovuto abbandonare il lavoro e rimanere economicamente inattivi.

I lavoratori più anziani costituiscono dunque, secondo il documento, un gruppo che al momento, di sicuro, richiede prontamente politiche all’avanguardia, sia a livello governativo che da parte dei datori di lavoro, con approcci e interventi specificamente adattati e con particolare attenzione alle donne.

In una prospettiva più ampia, ciò a cui si mira – e l’Unione europea va sempre di più in questa direzione – è il passaggio da un modello competitivo ad uno collaborativo, con esiti positivi e vantaggi per tutte le parti in gioco, sia per il datore di lavoro che per il lavoratore. Tanto più che la longevità in costante aumento impone una visione della gestione dei processi, non solo lavorativi, lungimirante e al passo coi tempi.

Il policy brief propone una raccolta di strategie indirizzate ai responsabili politici a tutti i livelli, alle organizzazioni internazionali, agli attori della società civile e ai datori di lavoro, i quali sono tutti incoraggiati a sostenere lo sviluppo di ambienti e condizioni di lavoro che siano più sostenibili per il benessere del lavoratore più anziano in Europa.

Di seguito le strategie che il policy brief propone: 

– incoraggiare, in ogni ambito, una maggiore consapevolezza intorno questo tema, di modo che si possa agire a più livelli ed in maniera integrata, promuovendo altresì una cultura del lavoro che sia più inclusiva e solidale;
– incoraggiare il life-long learning;
– offrire opzioni di lavoro flessibili e maggiore attenzione all’equilibrio tra la vita privata e quella lavorativa;
– incoraggiare i processi di mentoring tradizionale (in cui il lavoratore più anziano fa da mentore ai lavoratori più giovani) e di reverse mentoring (attraverso il quale il lavoratore più giovane orienta quello più anziano per esempio su tutta una serie di competenze innovative e molto spesso digitali);
– offrire opzioni pensionistiche più flessibili;
– istituire, all’interno dei posti di lavoro, nei dipartimenti dedicati alle risorse umane, professionisti che conoscano le questioni e le dinamiche relative ai PSRs (psychosocial risks), che conoscano le diverse realtà presenti nel posto di lavoro e, quindi, sappiano diversificare le attenzioni, i bisogni e i rischi, valorizzando le risorse e le competenze, a beneficio di tutti.


Fonte: pensionati.cisl.it